La mia attività artistica può essere inserita tra la #artbrut, #recyclingart, #plasticart
Tutto è iniziato a dicembre di tre anni fa, quando un innamoramento non ricambiato all’improvviso irruppe nella mia vita e, con la forza deflagrante del “fulmine”, andò a rompere le grate dietro le quali avevo fino ad allora imprigionato la mia creatività artistica.
È stato bello, emozionante. Tutto è accaduto molto rapidamente, in modo naturale.
Tutti i materiali e gli oggetti vari che mi avevano colpito e che fino ad allora avevo guardato con interesse e raccolto sulla spiaggia o sugli scogli, perché avevano in sé qualcosa di attraente e misterioso cominciarono a essere guardati con uno sguardo diverso.
Quella plastica nera, simile al magma vulcanico che avevo trovato durante una passeggiata lungo la foce del Garigliano, cominciava ad acquisire un’altra dignità. Avevo scorto qualcosa di meraviglioso dietro quella informe massa di plastica bruciata, l’avevo ammirata, raccolta e fatta mia. Ai miei occhi non era solo il visibile, plastica bruciata. La natura se ne era riappropriata, l’aveva trasformata in opera d’arte. Il fuoco le aveva dato una forma, il vento l’aveva levigata e il sole le aveva dato quel particolare colore scuro.
Molto tempo è trascorso da quando ho cominciato a raccogliere vari materiali trovati sulla spiaggia o in altri luoghi a quando lo sguardo che ne coglieva la bellezza è stato ripensato come il riconoscimento di un atto creativo operato dalla natura e il gesto stesso di raccoglierli come una manifestazione della mia creatività. La natura attraverso il fuoco, il vento, il sole e il mare aveva scolpito quei materiali, trasformandoli in opere d’arte, così come accade agli informi blocchi di marmo su cui lo scultore, con lo scalpello, esercita la sua sapiente azione.
Quegli oggetti, come il marmo informe tratto dalle cave dell’Amianta, sarebbero rimasti sulla spiaggia e considerati da tutti come oggetti di scarto se la loro peculiare e misteriosa bellezza non fosse stata colta e valorizzata dal mio sguardo. Nello stesso momento in cui mi sono chinato per raccoglierli, attraverso quel semplice gesto, ho compiuto io stesso un atto creativo.
Nel frattempo il “fulmine” che aveva sbloccato la mia creatività continuava a produrre i suoi effetti. La mia attività di raccoglitore di opere frutto dell’azione incessante della natura, andò lentamente mutando.
Non mi limitavo a raccogliere sulla spiaggia oggetti vari, per lo più plastiche bruciate dal sole e plasmate dal vento e dal mare, ma iniziai a recuperare e ad assemblare l’una dentro l’altra reti di plastica che, simili a reti sinaptiche, inglobavano al loro interno funi, gomene e brandelli di plastica. Il tutto assumeva forme strane e, talvolta ripetitive, ma sempre diverse per gli sgargianti colori che le rendevano uniche.
All’interno di una di queste reti, a maglie molto strette e dalla forma lunga e flessuosa raccolsi molte palle di gomma, di dimensioni e colori diversi.
Ancora altro tempo è trascorso perché potessi cominciare a comprendere che ero particolarmente attratto dalla misteriosa e cupa bellezza di quegli oggetti perché avevano qualcosa di peculiare che mi riguardava personalmente: da sempre avevano fatto parte del mio mondo interno ed esprimevano parti di me.
Esiste, infatti, un fil rouge che unisce il mio lavoro scientifico a quello artistico.
Come psicologo clinico, gay, sono interessato agli studi di genere e all’antropologia psicoanalitica mi avventuro da qualche anno nel mondo delle persone gender variant, delle persone gender non conforming, delle persone transgender e più in generale dall’universo delle persone Lesbiche, Gay, Bisessuali, Transgender, Queer Questioning e Intersessuali - LGBTQI.
Qual è il collegamento tra questi mondi e il mio mondo artistico?
Molte delle mie opere rappresentano attraverso le loro forme, attraverso i materiali usati, attraverso la varietà dei colori che le connotano, quei mondi in cui vengono spesso ingabbiate le persone LGBTQI che vivono, relegate e messe ai margini della società, in contesti nei quali non viene riconosciuto loro il diritto ad autodeterminarsi e rispettata la loro dignità di esseri umani. Lo stesso accade al materiale di scarto che uso per realizzare le mie opere che, se non fosse da me raccolto, sarebbe accumulato ai margini della spiaggia per essere poi bruciato nelle discariche della Terra dei Fuochi.
Quelle reti, che simili a reti sinaptiche includono materiale libero, imprigionato di nuovo, possono rappresentare un corrispettivo di quei mondi, e più nello specifico del nostro mondo interno?
Quelle cime, quei nodi da me pazientemente sciolti e poi riannodati e intrecciati con altre cime fino a creare un groviglio di nodi inestricabilmente ingarbugliati, possono rappresentare quelle gabbie che ci stringono e costringono nel corso della vita o quelle soluzioni a cui facciamo ricorso per sfuggire a conflitti emozionali difficilmente accessibili al livello conscio?
Quanto le reti in cui avviluppo le cime, intrecciandole tra loro e in cui sono inserite “Barbie” trovate sulla spiaggia, pupazzi, personaggi maschili, pistole, coltelli, orsetti o animaletti vari, rappresentano quelle “gender cages”, gabbie di genere in cui siamo tutti imprigionati rispetto a ruoli stereotipicamente assegnati al genere, nelle sue complesse, molteplici e articolate declinazioni?
Quanto spesso quei nodi faticosamente sciolti e poi pazientemente ricreati rappresentano i grovigli della vita con cui ci confrontiamo di fronte a sentimenti di inadeguatezza che sin dall’infanzia ci portiamo dentro, chi più chi meno, rispetto al non sentirci “abbastanza” aderenti ai ruoli che dovremmo di volta in volta performare?
Sono ormai giunto alla conclusione di questi pensieri su me stesso e sull’attività, che seppure con timidezza, finalmente si è avviata verso l’irresistibile leggerezza di questa creativa creaturalità.
Sono molte le domande che continuo ancora a pormi. Prima tra tutte: “Come può un “fulmine” produrre un impatto così violento da rompere la gabbia in cui è stata bloccata la mia creatività artistica, sepolta per tanto tempo negli anfratti dell’inconscio?”
Non so dare risposta a questa domanda.
Sulla base della mia esperienza ho appreso che siamo tutti costretti a vivere nell’incessante flusso delle incertezze che diventano illusorie certezze nell’incertezza perenne della vita
About me,
My artistic work can be put within #artbrut, #plasticart, #recycliningart
Everything began three years ago in December, when an unexpected event interrupted my
life and, with the unwhipped force of the “lightning”, the grates were broken which up-to-
then had kept my artistic activity a prisoner.
It was beautiful, emotional. Everything happened so quickly, so naturally.
All the materials and the various objects which had struck me and which, up-to- then, I
had looked at with interest and collected on the beach and on the rocks, because they were
inherently attractive and mysterious, led me to look at them differently.
This black piece of plastic, like volcanic magma, which I had come across during a stroll
along the mouth of the Garigliano, took on another form of dignity. I had come across
something marvellous within that shapeless mass of burnt plastic. Nature had taken it over,
had transformed it into a work of art. The fire had given it a form, the wind had raised it
up and the sun had given it that particular dark colour.
A long time has gone by from when I began to collect various material found on the
beach or in other places to when my book recognized the beauty and re-thought its
recognition of a creative act as worked by nature and the very gesture of collecting them
as a manifestation of my creativity. Nature through fire, wind, sun and the sea had shaped
those materials, transforming them into works of art, just as had happened to the shapeless
blocks of marble on which the sculptor, with his scalpel, exercised his knowledgeable
action.
Those objects, like informal marble taken from the Amianta Caves, would have remained
on the beach and have been considered by everybody as objects to chuck out if their
peculiar and mysterious beauty had not been welcomed and made valuable by my gaze. At
the very moment in which I had bent down to collect them, through that simple gesture, I
myself was part of a creative act.
In the meantime the “lightning” that had unblocked my creativity continued to produce its
effects. My collecting activity which was the result of an unceasing natural action, was
slowly changing.
I did not only collect on the beach different objects, mostly plastic burnt by the sun and
shaped by the wind and sea, but I began to recuperate and assemble others within plastic
nets which, similar to synaptic ones, had internal ropes, rubbers and plastic netting. All this
took on strange, and, sometimes, repetitive forms, but they were always different because of
their outlandish colours which made them unique.
Inside one of these nets, with very tight string and with a long and a flexible form were
gathered together many rubber balls, of various shapes and colours.
Still more time was spent for myself to begin to understand that I was particularly
attracted by the mysterious and dark beauty of those objects because they had something
peculiar which regarded me personally. They had always been part of my internal world
and expressed parts of me.
There is infact a fil rouge which unites my scientific work to its artistic one.
As a gay clinical psychologist interested in gender studies and psycho-analytical
anthropology I have been weaving myself into the area at the confines and margins of
society, which is represented specifically by the world of gender variant people, of gender
non-conforming people, of transgender people and more in general by the universe of
Lesbian, Gay, Bi-Sexual, Transgender, Queer Questioning and Inter-Sexual people -
LGBTQI.
What is the link between these worlds and my artistic world?
Many of my works represent through their forms, through used materials, through the
variety of colours that make them up, those worlds in which the LGBTQI people who live
in them are often encaged. They are in contexts where their right to self-determination and
to have their dignity respected by human beings are not recognized. The same happened
with the throwaway material that I use to carry out my work. If it had not been collected
by me, it would have accumulated on the shores of the beach to then be burnt in the
rubbish dumps in the Terra dei Fuochi.
Those nets, which are similar to synaptic nets, include free material, imprisoned again, and
can they represent a corresponding element of these worlds, and more specifically, of our
internal world?
Those tops, those knots which were patiently loosened by me and then re-knotted and
intertwined with other tops until creating a mish-mash of tightly bound, messed-up knots,
can they represent those cages which tie us up and force us with them in the course of
life or even those solutions to which we have recourse to flee from emotional conflicts
which only with difficulty are accessible at a conscious level?
As regards the nets in which I envelop the tops, weaving them among themselves and in
which are inserted “Barbies” found on the beach, dolls, masculine characters, pistols, teddy
bears or various toy animals, do they represent those “gender cages”, gender cages in
which we are all imprisoned with respect to stereotypically assigned genders, in their
complex, multiple and articulated declinations?
How often have those knots which I have tirelessly freed up and then patiently recreated
represent the mish-mash of life with which we confront ourselves before feelings of
inadequacy which right from infancy we carry within ourselves, who more who less, with
respect to not feeling adherent “enough” to those roles which we should in turn carry out?
I have now reached my conclusion as regards these thoughts on myself and my activity,
which in spite of shyness, have finally directed themselves towards the irresistible lightness
of this creative creaturality.
I continue to ask myself a lot of questions. Above all : “How can a “lightning” produce
so violent an impact so as to break a cage in which my creativity was blocked, buried for
so long in the concoctions of the unconscious?”
I cannot answer the question.
On the basis of my experience I have learnt that we are all forced to live in the
unceasing flow of uncertainties which become illusory certainties in the perennial
uncertainty of life.